Cinquant’anni fa, a Castellana Grotte, un chilogrammo di ciliegie valeva dieci chilogrammi di farina: oggi ne vale appena uno. Non è un caso se, nello stesso periodo, la produzione di ciliegie (in tonnellate) è passata in Italia da 210 mila a 116 mila, in Turchia da 48 mila a 470 mila, in USA da 90 mila a 340 mila, in Iran da 45 mila a 200 mila, in Spagna da 50.000 a 100.000, in Cile da 3 mila a 85 mila.
Servirebbero molte pagine per spiegare le scelte (sciagurate) dei vari ministri agricoli italiani e gli errori della Regione Puglia, che con le sue 41 mila tonnellate è pur sempre produttrice leader in Italia. Purtroppo il tempo delle analisi è scaduto da tempo, ed è meglio concentrarsi su qualche proposta concreta.
Da diversi anni il nostro territorio va perdendo il potenziale ciliegicolo, per le mille ragioni arcinote (reti distributive imperniate sull’economia di scala, assenza di capacità aggregative dell’offerta, ruberie delle cooperative e dei grandi intermediari, sottomissione al mercato campano, dipendenza da speculatori come Fabbri o Ferrero, mancanza di qualsiasi azienda di trasformazione, assenza di strutture della logistica, scarsissimo uso delle piattaforme dell’e-commerce, ritardo tecnologico, assenza di ricerca) e la produzione sembra progressivamente relegata nei bassi livelli dell’auto-consumo, del baratto e delle speculazioni distruttive dell’economia agricola, del territorio e del reddito dei produttori. Non meno grave è il danno che si sta arrecando all’ambiente, soprattutto per l’uso dissennato di pesticidi, le cui conseguenze tanti cittadini pagano con l’aumento di gravi malattie, spesso tumorali.
Oggi, con il prezzo attestato tra 50 centesimi e un euro per chilo, i produttori debbono fare i conti con redditività zero, bassa qualità del prodotto e dubbi sul mantenimento in vita di queste bellissime piante, senza le quali morirebbero anche le nostre colline.
Esiste il pericolo di un disastro ambientale e produttivo, che deve essere evitato partendo da tre basi di eccellenza: l’enorme bio-diversità della nostra ciliegicultura (quanti conoscono la squisitezza e le virtù salutistiche di cultivar antiche come Graffione, San Nicola, Limoncella, Napoleone, Molfetta nera, Molfetta bianca, Furlì, Francia, Montagnola o Capa di serpa, solo per citare quelle che ancora oggi alcuni produttori coltivano nella preziosa terra rossa castellanese?), un arco temporale produttivo lungo due mesi e una qualità del prodotto assolutamente ineguagliabile, dovuta alla struttura calcarea della nostra terra e al tantissimo potassio che essa contiene.
Le nostre ciliegie, che un tempo avevano un gusto prezioso e virtù salutistiche importantissime, ormai sono state soppiantate da vere e proprie “bombe” che nel senso comune della gente, servono ad ingannare gli occhi ed avvelenare la salute, come la gran parte della frutta ingegnerizzata dalle imprese dell’agro-chimica, che poi sono le uniche beneficiarie di questo scempio, peraltro non unico. I polli arrostiti l’8 settembre, che lasciano il fumo a Castellana Grotte e fiumi di danaro nelle aziende (italiane?) di Francesco Amadori, non segnalano una criticità che obbliga a riflettere?
Se provassimo a vendere in una sagra romagnola polli o ciliegie di produzione pugliese scoppierebbe una guerra civile, statene certi! C’è un Nord e un Sud in tutto, lo sappiamo. Ma almeno di fronte alle difficoltà più brutte, possiamo uscire dalle nostre subalternità, provare ad avere uno scatto di dignità e dimostrare a noi stessi di saper diventare classe dirigente?
Per essere concreti, bisogna svolgere nella nostra città una “Sagra annuale della bio-diversità e dell’eccellenza alimentare delle ciliegie”, dal Primo maggio al 30 giugno. Nove settimane nelle quali riempire ogni angolo della città, le Grotte e le masserie del territorio di migliaia di turisti, ogni sera, svolgendo decine di eventi legati alle meraviglie della ciliegia: un gelato appena inventato, una ricerca scientifica, un nuovo dolce o liquore, una confettura o un estratto di frutta, i cuscini di noccioli, la lavorazione del legno, una gara tra chef, mille favole raccontate dai nonni, un evento del cinema, una borsa di studio per gli alunni delle scuole superiori, un gemellaggio con una città del Cile, o una canzone sul frutto più buono e salutare per i bambini, come possiamo testimoniare noi nati prima dell’era biotech.
Naturalmente, per realizzare produzioni sane e incontaminate, il Comune, le associazioni e le imprese commerciali e della trasformazione, ma soprattutto i contadini e gli imprenditori agricoli, dovrebbero dar vita ad un marchio di qualità e ad un prodotto incontaminato, buono e salutistico. La Regione Puglia, che assegna un ruolo importante ai temi della bio-diversità e dell’accorciamento delle filiere agro-alimentari, potrebbe sostenere con le risorse del FERS un progetto siffatto, altamente innovativo, ma soprattutto portatore di cambiamenti culturali e di reddito in una realtà nella quale i livelli di competitività arrancano e i morsi della crisi economica e sociale stanno diventando ogni giorno più laceranti.
Qualcuno osserverà che un progetto del genere è utopia. Non è così, come dimostrano i mille esempi simili realizzati in ogni angolo d’Europa, nati proprio in momenti di crisi o di inarrestabile declino. Trasformare grandi difficoltà in nuove opportunità a volte non costa nulla, anzi serve a ridisegnare una coscienza collettiva e un nuovo modello sociale o produttivo. Le ciliegie di Castellana, a partire dagli anni successivi al 1945, rappresentarono la leva del primo cambiamento dopo anni di miseria. Oggi possono segnare l’inizio di una stagione che miri a valorizzare la ricchezza del territorio e il bene ambientale, facendo della cultura contadina la pianta sulla quale far crescere sia i frutti della tradizione che quelli dell’innovazione.
PIERO TATEO
Fondazione Agriculture Onlus