a) I SEMI NELLE MANI DELLE MULTINAZIONALI
Il 14 settembre 2016 la Bayer AG di Leverkusen (Germania) ha acquisito, per la cifra record di 66 miliardi di dollari, la Monsanto di Sant Louis (Usa), leader mondiale nel settore delle sementi.
Questa fusione, che ha fatto seguito a quelle avvenute negli anni passati tra Dupont e Dow Chemical (entrambe americane, come la Pioneer, “mangiata” qualche tempo prima dalla Dupont) e tra la multinazionale svizzera Syngenta e il colosso cinese Chem China, mette l’umanità – e non solo i contadini – di fronte ad uno scenario drammaticamente nuovo: in pratica quattro aziende (cioè Bayer-Monsanto, Dow-Dupont , ChemChina-Syngenta e Basf) controllano i tre quarti delle sementi del pianeta.
Le stesse quattro compagnie controllano oltre i sue terzi del mercato globale dei fertilizzanti e una quota altrettanto grande dei pesticidi usati in agricoltura.
Ma sono le sementi il vero “core business” di questo sistema, perché chi possiede il patrimonio genetico sottratto alla natura comanda il gioco del mercato mondiale imponendo ai contadini prezzi insopportabili, sia per l’acquisto dei semi che per i fertilizzanti e i fitofarmaci.
I semi, con la complicità di autorità politiche corrotte e leggi scritte dai corruttori, diventano strumento di sottomissione degli agricoltori, che per ottenere rese più alte e prodotti standardizzati da immettere nelle grandi catene distributive mondiali, sono costretti ad acquistare veri e propri “kit” contenenti sementi, concimi e agro-farmaci.
Questo sporco gioco, che affama interi continenti e riporta il mondo contadino alla condizione feudale, si basa sulla possibilità di dar vita a nuovi semi attraverso le manipolazioni dei geni, delle cellule e degli ormoni. Questi nuovi prodotti, registrati come “brevetti” nati da applicazioni dell’intelletto, una volta registrati come beni industriali, sono considerati alla pari di un una lavatrice o un telefonino.
Nel caso dei semi l’obsolescenza programmata (built-in obsolescense) viene assicurata attraverso tecniche di sterilizzazione programmata: in pratica da questi semi non possono nascere altri semi. Non essendo riproducibili anno dopo anno, debbono essere acquistati per ogni nuova campagna. Solo in alcuni casi si presentano con una normale riproducibilità ma, essendo sottoposti a brevetto, chi ne fa uso senza licenza va incontro ad azioni giudiziarie lunghe e costose, promosse dalle multinazionali, che si presentano nei tribunali con eserciti di avvocati e periti superpagati, con l’obiettivo finale di far dichiarare la resa ai contadini e imporre loro una transazione con la quale si obbligano (per il futuro) a servirsi solo di sementi brevettate prodotte dalla compagnia “danneggiata”.
Negli Stati Uniti, in Canada, in Messico e in Argentina, tanti contadini hanno subito un processo solo perché il vento o gli uccelli hanno trasportato semi manipolati nei campi coltivati con sementi anche millenarie. Questi produttori, denunciati per frode, non potendo pagare avvocati e periti di parte al fine di dimostrare che non avevano mai usato semi diversi da quelli ereditati dai loro antenati, hanno dovuto quasi sempre soccombere, riconvertendo le aziende alle sementi manipolate.
Questa violenza ha creato umiliazioni e povertà indescrivibili, insieme a prodotti alimentari non salutistici e a nuove malattie, ma gli aspetti più allarmanti sono quelli che riguardano la distruzione della bio-diversità, vero e proprio attentato contro madre natura.
Fino a pochi decenni fa gli incroci e le ibridazioni, il più delle volte causate fortuitamente dalle api, dagli uccelli e dal vento, alle quali sono seguite le ibridazioni volute dall’uomo dopo le scoperte di Gregor Mendel, servivano per arricchire la biodiversità del pianeta.
Oggi, come abbiamo detto, quattro multinazionali controllano il patrimonio genetico vegetale
b) I semi sono un bene comune
Sulla terra esistono 390.900 specie vegetali conosciute, ma di queste circa il 21 per cento, cioè 80.000 specie, sono a rischio di estinzione, mentre ogni anno vengono scoperte nuove piante, quasi sempre invasive, molto dannose per l’agricoltura e il benessere del pianeta.
Di questa enorme problema quasi non si parla e non si agisce per difendere il patrimonio naturale, la risorsa più preziosa per la nostra vita.
Sono tanti (tra Stati, Istituzioni Internazionali, Centri Universitari e della Ricerca, Imprese) interessati a creare poche decine di nuove piante, il più delle volte con l’unico scopo di accrescere i profitti delle compagnie, senza tenere in nessun conto principi etici e morali e, meno che mai, l’amore per il nostro piccolo pianeta.
Nel campo delle modificazioni delle specie vegetali, che in natura sono sempre esistite, tuttavia c’è stata un’importante scoperta, fatta nel 1953, che ha aperto la strada ai cambiamenti più radicali: parliamo del DNA.
Da allora ad oggi le tecniche di manipolazione dei geni hanno cambiato tantissime specie vegetali. Tutti gli interventi (dalle radiazioni con i raggi gamma delle vecchie centrali nucleari alle ibridazioni forzate degli anni ‘60, dalla nascita dei primi Organismi Geneticamente Modificati (OGM) attraverso l’ingegneria genetica fino alla recente tecnica di “editing genetico taglia e cuci” della procedura Crispr Cas9, hanno aggiunto, sottratto o cambiato parti del patrimonio donato alla pianta dalla natura.
Molti dicono che queste manipolazioni sono “equivalenti” a quelli indotte da un ape che, andando di fiore in fiore, crea una ibridazione e una nuova pianta. Altri sostengono che dai laboratori delle multinazionali sono venuti fuori prodotti ad altissima resa, utili per accrescere il reddito dei produttori agricoli e le produzioni su larga scala, in modo da abbassare i pressi delle derrate alimentari.
Altri ancora sostengono che senza le produzioni agricole manipolate sul pianeta non si potrebbe vivere.
Le esperienze dell’India, del Messico e dell’Argentina dimostrano esattamente il contrario mentre, dai fatturati delle compagnie impegnate in questo campo, emerge una realtà incontestabile: i semi manipolati richiedono l’uso di fertilizzanti e pesticidi molto specifici, in pratica strutturati in ragione delle modifiche apportate a livello genetico.
Ma questo assioma può funzionare anche invertendo i fattori processuali: in pratica può succedere che un seme vanga manipolato in funzione di un prodotto dell’agro-chimica prodotto dalla stessa impresa.
Grano, soia, mais e colza manipolati nei geni e capaci di rendere produzioni accettabili solo mediante l’uso di uno specifico diserbante e di un particolare insetticida, se sono prodotti dalla stessa compagnia, assumeranno il profitto come misuratore etico e agiranno di conseguenza.
Per questa via, in mercati di larga scala a dimensione globale e omologante, nel giro di pochi anni, la bio-diversità dei brevetti ha preso il posto di quella naturale.
Gli stati non solo non hanno contrastato questo processo ma lo hanno tollerato e persino sostenuto.
La “Svalbard Global Seed Vault”, impiantata dell’isola norvegese di Spitsbergen, a circa mille chilometri dal Polo Nord, è una banca mondiale dei semi progettata per resistere ad ogni catastrofe, persino allo scioglimento dei ghiacciai artici, come si afferma dei documenti ufficiali diffusi da Bill e Melinda Gates, principali finanziatori dell’iniziativa. Ma accanto a loro, oltre al governo della Norvegia, chi ha finanziato l’opera? La Fondazione Rockefeller, la Monsanto, la Syngenta, il Gruppo Dupont-Pioneer-Dow e il Gruppo Consultivo per la Ricerca Agricola Internazionale.
Costoro vanno spacciando Svalbard come una nuova arca di Noè e non si vergognano di essere loro i veri responsabili dei mali che affliggono la terra.
I semi devono tornare ad essere un bene comune degli abitanti del pianeta. I semi non sono un prodotto di mercato che può vedere il suo valore crescere o flettere in ragione dei profitti di certi signori!
c) La nostra “Banca dei Semi”
La “Fondazione Agriculture Onlus” nel suo Statuto afferma …………………………….
Sulla base di questi principi, oltre che dei mezzi di cui dispone, Il Consiglio di Indirizzo ha deciso di bar vita af una Banca dei Semi Antichi del nostro territorio, cioè quel lembo della Terra di Bari che abbraccia la Murgia dei Trulli e delle Grotte e le marine a Sud di Bari che lambiscono il Salento.
Questa Banca non agisce come quelle che conservano i semi in immense celle frigo con temperature intorno ai meno 25 gradi centigradi.
La nostra è una banca attiva, che si alimenta con i semi forniti dai cittadini e dai contadini e che ha vita se – giorno dopo giorno – i semi vengono rigenerati attraverso le coltivazioni dei normali cicli biologici.
Nella Banca saranno raccolti cereali (frumento, avena per alimentazione umana, mais e orzo), legumi (fave, fagioli, ceci, lenticchie, piselli, cicerchie e lupini) e ortaggi (esclusi quelli a tubero o a bulbo).
Chiunque vorrà conferire dei semi, anche al fine di scambiarli con altri semi conservati nella banca, dovrà innanzitutto compilare una scheda nella quale dovrà dichiarare come ne è venuto in possesso, con quali elementi di storia o di conoscenze empiriche, se provvede annualmente (o dopo più anni alla semina, alla messa a dimora delle piantine, alla coltivazione e alla selezione e conservazione dei semi).
Nella banca non sono ammissibili semi manipolati nei geni, negli ormoni e nelle strutture cellulari.
Non sono ammissibili semi ibridi, incapaci di riprodursi e di dar vita a semi identici a quelli catalogati e conservati.
La banca disporrà di un archivio informatico nel quale verranno conservati tutti i materiali relativi al seme specifico (es. scheda di ammissione, foto della pianta, foto del frutto, foto del seme, grammatura, schede dei prelievi e dei conferimenti, ecc.).
Periodicamente, ed almeno una volta all’anno, la Fondazione informerà tutti i conferitori, secondo le modalità più opportune, sullo stato del patrimonio genetico in essere e su ogni iniziativa utile a migliorare e rafforzare il ruolo della Banca.
Tutti gli i conferimenti, gli scambi e le cessioni dei semi avverranno esclusivamente a titolo gratuito.